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Global Columns

Quei leader autoritari che minacciano le democrazie

Angie G50

La Reppublica / Moisés Naím con traduzione da Fabio Galimberti

Nel decennio passato c’è stata una proliferazione di eventi che hanno cambiato il mondo. Alcuni sono stati talmente eclatanti che era impossibile ignorarli, ma ce ne sono stati anche altri più graduali, che sono passati quasi inosservati. Il più importante fra questi è la crisi mondiale della democrazia.
Le democrazie si sono indebolite in tutti i continenti, mentre le dittature sono in grande spolvero e ospitano il 70 per cento della popolazione mondiale, vale a dire 5,4 miliardi di persone. Secondo studi dell’Istituto V-Dem dell’Università di Göteborg, un decennio fa la percentuale di persone che vivevano sotto dittature era attestata al 49 per cento. Era dal 1978 che il numero di Paesi in via di democratizzazione non era così basso.

Sono due i motivi che spiegano perché questo arretramento della democrazia non ha provocato grossi allarmi e nemmeno reazioni significative. Il primo è che stavano succedendo molte altre cose urgenti e concrete che rendevano difficile, per i difensori della democrazia, attirare l’attenzione dei leader, dei mezzi di informazione e dell’opinione pubblica sul problema; la pandemia o la crisi finanziaria mondiale sono solo due esempi di una lunga lista di eventi che hanno sottratto spazio alle crisi meno immediate. La seconda ragione è che nella maggior parte dei casi gli attacchi alla democrazia sono stati deliberatamente dissimulati, difficili da percepire e ancor meno in grado di mobilitare le persone.

Prendiamo in esame la prima causa di questa disattenzione mondiale verso quella che Larry Diamond, uno stimato professore dell’Università di Stanford, ha chiamato la «recessione democratica». Come mobilitare la popolazione per difendere la democrazia in un momento in cui la pandemia stava provocando la morte di milioni di persone in tutto il mondo? Secondo l’Organizzazione mondiale per la salute (Oms), solo fra il 2020 e il 2021 15 milioni di persone sono morte a causa del Covid-19 e delle sue varianti.

Nello scorso decennio si sono aggravati anche gli effetti del riscaldamento globale: sono diventati più frequenti, letali e costosi gli incendi forestali, le ondate di calore estremo, le inondazioni, gli uragani, i tifoni, il disgelo dei poli e molto altro ancora. Anche i problemi economici non sono mancati: fra il 2007 e il 2009 si è scatenata una profonda crisi finanziaria che è partita dagli Stati Uniti, ha causato gravi danni all’economia, ha contagiato altri Paesi e ha lasciato strascichi politici le cui conseguenze si fanno sentire ancora oggi, la più importante delle quali probabilmente è l’acutizzarsi della disuguaglianza economica.

Questo problema si è aggravato lo scorso decennio e continua a essere fonte di conflitti politici e instabilità sociale. Uno dei Paesi dove si è più accentuato è la Cina, che oggi è tra le società più disuguali al mondo. Eppure l’attenzione mondiale per l’economia cinese non si è focalizzata sulla crescente disuguaglianza, bensì sulla rapida crescita economica: fra il 2010 e il 2020 il colosso asiatico ha più che duplicato le dimensioni della sua economia e oggi, a seconda del metro di calcolo adottato, è la prima o la seconda economia mondiale. In questo stesso periodo, il regime cinese è diventato ancora più autoritario: nel 2018 il presidente Xi Jinping ha provveduto a eliminare la norma costituzionale che dal 1982 limitava la presidenza a due periodi di cinque anni; grazie a questa riforma costituzionale, ora Xi può essere presidente a tempo illimitato.

Il decennio passato è stato anche quello della Brexit, l’inaspettata e traumatica uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. È stato pure il periodo in cui si è assistito a un esplosivo aumento dell’influenza economica, politica e sociale di piattaforme come Facebook, YouTube, Instagram, Twitter o TikTok. Ed è stato anche il periodo delle guerre di Putin: i militari russi hanno combattuto in Georgia, Crimea, Abcasia, Ossezia del Sud, Siria e Ucraina. Sempre in questi dieci anni abbiamo visto l’ascesa di Donald Trump, che ha conquistato il Partito repubblicano e la presidenza degli Stati Uniti.

Molti di questi eventi sono stati modellati e favoriti dal rapido incremento del numero di persone che usano telefonini intelligenti, gli onnipresenti smartphone: oggi più di 6,5 miliardi di persone (l’84 per cento della popolazione mondiale) possiedono uno di questi dispositivi.
Mentre tutto questo (e molto altro ancora) distraeva la nostra attenzione, un gruppo di leader autoritari si è appropriato di molte delle democrazie del pianeta.

Le statistiche, i rapporti e le evidenze del deterioramento della democrazia nel mondo sono sorprendenti e preoccupanti. Ma più sorprendente ancora è la mancanza di risposte e l’inazione di fronte agli assalti delle forze antidemocratiche.

La ragione è che molti degli attacchi contro le democrazie in questo momento avvengono in modo talmente dissimulato da essere, di fatto, quasi invisibili. Se un problema non viene individuato, è impossibile che venga risolto, e in questo momento le democrazie del mondo stanno affrontando un problema pericoloso e non sufficientemente riconosciuto. Dobbiamo identificarlo, pubblicizzarlo e affrontarlo.

(Traduzione di Fabio Galimberti)