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Global Columns

Intervento a tutto campo

Angie G50

World Energy & Oil / Moisés Naím

I numeri parlano chiaro. Per rispettare l’obiettivo del limite di 1,5 °C fissato nell’accordo di Parigi del 2015, nel prossimo decennio il genere umano dovrà ridurre le emissioni globali di gas serra del 7,6 percento ogni anno. Questo è solo uno degli allarmi lanciati dall’Environment Emissions Gap Report 2019 recentemente pubblicato dalle Nazioni Unite, il rapporto annuale che valuta il divario tra “dove siamo e dove dovremmo essere” in termini di emissioni di gas serra. Il documento osserva inoltre che nel corso degli ultimi dieci anni le emissioni globali di gas serra sono aumentate in media dell’1,5 percento ogni anno e conferma che la temperatura globale si è innalzata di oltre 1 °C rispetto all’epoca preindustriale. Se le tendenze attuali continuano, è probabile che le temperature superficiali registrino un incremento di 3,9 °C entro la fine del secolo. Per mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2 °C, ogni nazione dovrà triplicare gli obiettivi attuali in materia di emissioni. Ancora più sconfortante è la stima che, per contenere le temperature entro il limite di 1,5 °C, i paesi saranno costretti a quintuplicare i propri sforzi per ridurre i gas serra. Conosciamo gli scenari catastrofici derivanti dall’ipotesi di temperature medie più elevate. Regioni in cui attualmente vivono centinaia di milioni di persone si troverebbero al di sotto della linea dell’alta marea entro il 2050. Vaste aree di città come Alessandria d’Egitto, Bangkok, Shanghai, Mumbai, Miami e Ho Chi Minh potrebbero diventare inabitabili. A Giacarta, le inondazioni causate dall’innalzamento del livello del mare unitamente al fenomeno della subsidenza hanno costretto a trasferire con urgenza la capitale sull’isola di Kalimantan. Incendi su vasta scala divampati in aree urbane e boschive stanno imperversando in molte zone del pianeta, dal Brasile e dalla Bolivia all’Indonesia e alla California, generando mutamenti che potrebbero essere in gran parte irreversibili. Uragani e trombe d’aria devastanti sono diventati fenomeni sempre più frequenti. Le proiezioni relative alla temperatura media globale indicano un aumento compreso tra i 4 e i 4,9 °C entro il 2100, a differenza degli obiettivi di meno di 3 °C fissati inizialmente nell’accordo di Parigi o, ancor peggio, degli attuali obiettivi modificati di un aumento compreso tra i 3 e i 3,4 °C. Se non si intensifica sensibilmente l’impegno a mitigare in misura efficace il cambiamento climatico, le temperature globali sono destinate a raggiungere livelli che prima poi renderanno inabitabile la maggior parte del pianeta. Mentre il cambiamento climatico si sta verificando a un ritmo molto più veloce di quanto gli scienziati avessero previsto, le azioni politiche mirate a contenere l’emergenza climatica si sono mosse molto più lentamente. Oggi, di fronte all’incapacità apparentemente strutturale dei governi di adottare le misure necessarie per allontanare il pianeta da questa pericolosa traiettoria, un numero crescente di scienziati teme che una crisi climatica globale di portata catastrofica sia inevitabile. Altri sono alla ricerca di nuove soluzioni drastiche per scongiurare questa fine.

Entra in scena la tecnologia

Dal momento che gli sforzi di mitigazione si sono dimostrati di gran lunga insufficienti rispetto agli obiettivi necessari per il mantenimento di temperature globali auspicabili, negli ultimi anni è stata prestata crescente attenzione alla geoingegneria. Con il termine “geoingegneria” si indicano interventi di natura tecnologica, su vasta scala, su processi naturali che mirano a contenere l’aumento della temperatura globale. Per anni gli esperti hanno liquidato la geoingegneria come una scienza eccessivamente rischiosa, incerta, gravida di pericolosi effetti collaterali e dai costi proibitivi. Una delle critiche sottolineava inoltre che si trattava di una scienza non ancora realizzabile, e che tutti i risultati erano mere ipotesi che necessitavano di evidenze più solide. La tecnologia inoltre non era ancora sufficientemente sviluppata. Tuttavia, come ha osservato l’autore britannico Fred Pierce, “l’intervento umano sul sistema climatico è stato considerato a lungo un passo avventato e rischioso per rallentare il riscaldamento globale. Ma a seguito della crescita esponenziale delle emissioni di carbonio, le iniziative volte a studiare e sviluppare tecnologie di geoingegneria stanno guadagnando popolarità come potenziale ultima spiaggia”.

Differenti stadi di ricerca e di sviluppo

Le opzioni offerte dalla geoingegneria attualmente oggetto di discussione sono molto varie e a differenti stadi di ricerca e sviluppo. Alcuni esempi che possono illustrare la natura di questi progetti sono la creazione di uno schermo di nuvole artificiali per limitare l’intensità dei raggi solari, l’ipotesi di scaricare negli oceani ingenti quantità di ferro o calcare per incrementarne la capacità di assorbire anidride carbonica, la costruzione di pareti di contenimento delle calotte polari per ridurre il più possibile l’innalzamento del livello del mare, l’installazione di specchi che deflettano i raggi solari o l’utilizzo del biochar per favorire l’assorbimento del carbonio nel terreno. Il biochar è un materiale carbonioso ottenuto dalla combustione di materiale organico derivante da residui agricoli o forestali (biomassa) in un processo controllato denominato pirolisi. Le soluzioni proposte dalla geoingegneria rientrano in due categorie generali. La prima ha lo scopo di potenziare l’effetto albedo, ovvero la maggiore capacità delle superfici chiare di riflettere il calore rispetto alle superfici scure. L ’idea è quella di individuare modi per incrementare la capacità della superficie terrestre di riflettere i raggi solari, e quindi di ridurre le temperature globali. Dal momento che i principali generatori di albedo sono il ghiaccio e le nuvole, e poiché lo scioglimento delle calotte polari ha indebolito l’effetto albedo, l’ipotesi di creare una copertura nuvolosa di protezione aggiuntiva si è fatta molto più allettante. Per realizzarla, si potrebbero vaporizzare grandi quantità di aerosol nella stratosfera, cercando in questo modo di riprodurre l’effetto delle grandi eruzioni vulcaniche che, come è noto, riducono la quantità di luce solare che raggiunge la superficie terrestre abbassando le temperature globali medie. La seconda categoria di idee nate dalla geoingegneria consiste nel tentativo di rimuovere dall’atmosfera una quantità di anidride carbonica maggiore di quella prodotta dalla natura, al fine di arrivare a produrre emissioni negative nette. Per raggiungere questo scopo sono in corso di sperimentazione varie tecniche, tra cui forestazione su vasta scala, stoccaggio sotterraneo del carbonio e cattura diretta dell’aria.

Prospettive attuali

Le alternative sopra descritte prevedono di incidere in varia misura sulla temperatura globale. Ad avere potenzialmente l’impatto maggiore sembrerebbe l’incremento dell’effetto albedo, ma le tecnologie necessarie per l’attuazione di queste idee sono ancora a livello embrionale. Pur essendo a uno stadio di sviluppo più avanzato, le tecnologie di rimozione del carbonio sembrano offrire minori risultati. Probabilmente, inoltre, per ottenere l’effetto desiderato richiederebbero di ricorrere simultaneamente a molte iniziative diverse. “Climate Intervention” (uno studio approfondito del 2015 condotto dal National Research Council delle National Academies con la collaborazione del Dipartimento dell’energia statunitense) afferma che, al momento, incrementare l’albedo in misura sufficiente da modificare il clima è una proposta troppo rischiosa, perché potrebbe provocare enormi conseguenze negative impreviste e in gran parte ingestibili. Sempre più spesso, le relazioni sulle diverse opzioni ingegneristiche all’interno di questa categoria contengono severi ammonimenti sui pericoli che comportano.

Saranno inevitabili decisioni drastiche?

Mentre il pianeta continua a dirigersi verso un grave deterioramento ambientale, la comunità scientifica e diversi policy maker stanno invocando con urgenza crescente l’adozione di misure che possano avere un impatto significativo, anche qualora comportino rischi sostanziali per il pianeta. Prendere decisioni su questo tema cruciale sarà un’impresa terribilmente ardua. È già in corso un dibattito molto acceso su costi, rischi e benefici della geoingegneria rispetto a quelli dell’approccio attuale, che essenzialmente si basa sulla speranza che alla fine i governi agiscano in modo risolutivo per mettere un freno alle emissioni, opzione che pure comporta costi e rischi enormi. È inevitabile, inoltre, che sorgano dibattiti altrettanto combattuti sul tipo di intervento da adottare. Inevitabilmente, questi confronti diventeranno più urgenti man mano che le sofferenze delle popolazioni derivanti da eventi climatici catastrofici si faranno più frequenti e intense.

Che cosa fare?

Di tutto. La crisi climatica è talmente importante e le risposte al riguardo sono state così inadeguate che ora dobbiamo mettere in campo tutte le risorse a nostra disposizione per affrontarla. Nessuna singola risposta, politica, tecnologia o riforma miracolosa da sola sarà sufficiente. Ciò che diverrà sempre più chiaro, e auspicabilmente condurrà all’adozione di politiche più efficaci, è che non ci sarà soluzione senza un cambiamento radicale della mentalità e dei comportamenti di tutta la collettività. L ’approccio dovrebbe essere simile a quello raccomandato dai nutrizionisti onesti a chi desidera dimagrire seguendo una dieta. L ’approccio più efficace non consiste in una dieta temporanea, ma in un cambiamento permanente del proprio stile di vita. Inevitabilmente, il cambiamento climatico ci costringerà a cambiare mentalità, stili di vita e abitudini. Resta da vedere se questi cambiamenti saranno indotti da decisioni prese dal genere umano o se ci saranno brutalmente imposti da Madre Natura.